Il Circo della Famiglia Felicità una volta è stato sulla Luna.
Poi è stato deciso all’unanimità di non tornarci mai più.
Tutto era cominciato con un sospiro, una notte d’estate, ore dopo la fine dello spettacolo. Un sospiro sonoro e talmente prolungato che Werther Felicità, svegliato dalla moglie Vera, aveva fatto in tempo a indossare la veste da camera, infilare le ciabatte, caricare la pipa e percorrere almeno un centinaio di metri sull’orlo di un’alta scogliera, prima che questo finisse con uno sbuffo malinconico.
Il sospiratore, anzi, la sospiratrice, era una giovane artista, grande attrazione del Circo Felicità, che si chiamava Artemisia Puntasecca. Il suo numero destava meraviglia anche in coloro che solitamente non amavano l’arte circense: una libellula veniva fatta volare davanti a un piccolo bersaglio a forma di fiore e, nella metà di un lampo, quattro frecce argentate fissavano le ali dell’insetto alla sagoma di legno. Nel tempo in cui gli spettatori si spellavano le mani applaudendo tanta fulminea precisione, Artemisia Puntasecca liberava le ali della libellula dalle sottilissime punte delle sue frecce (diversamente, non avrebbe mai trovato lavoro al Circo Felicità) e restituiva al volo la sua inconsapevole collaboratore, che se ne andava appena stupita per quella paralisi momentanea.
A chi le chiedeva il segreto di tanta rapida destrezza, Artemisia rispondeva con una sincerità virginale e disarmante, sostenendo i meriti della sua buona vista e del non essersi mai innamorata in tutta la sua vita. La mancanza d’amore, spiegava, la rendeva immune a tutte quelle piccole incertezze e turbamenti che tolgono serenità all’indispensabile precisione del gesto. Con la stessa semplicità, Artemisia ammetteva di non patire per la mancanza d’amore, poiché non si può davvero soffrire per la mancanza di una cosa che non si conosce e che non si è mai provata.
Poi, come spesso capita a chi ignora che l’amore ha udito finissimo e una perfida predilezione per l’inaspettato, una bella sera venne a trovarsi tra il pubblico un giovane uomo dallo sguardo trasognato che pareva essere totalmente indifferente a ciò che stava per succedere sulla pista. Quando Artemisia Puntasecca incoccò la freccia e inquadrò il bersaglio, socchiudendo appena gli occhi per fare cenno al suo assistente di liberare la libellula, si ritrovò a incrociare per un istante lo sguardo del giovane sognatore. Le sue mani, esperte almeno quanto lei nell’eseguire il numero, non la tradirono, ma il cuore, del tutto privo della necessaria preparazione, fece un giro su se stesso e s’imbizzarrì, così lei, nel bel mezzo dell’applauso, svenne e cadde innamorata.
Al suo risveglio lo spettacolo era già finito e il pubblico, compreso il giovane sognatore, scemato.
Artemisia, non sapendo come vanno le faccende di cuore, tacque e sera dopo sera, piazza dopo piazza, continuò a maneggiare il suo arco e a imbrigliare il suo sguardo soltanto sulle ali della libellula, sempre più stupita dall’immensa fatica che le costava ripetere i gesti che prima le riuscivano con infinita leggerezza. Soffrendo il travaglio dell’essere se stessa, conobbe la consistenza della rivoluzione avvenuta nel suo cuore. Poi venne, quando la misura fu colma, la notte del sospiro; in cui cedette e pianse le sue prime lacrime d’amore sulla spalla possente di Werther Felicità.
Al Circo della Famiglia Felicità nessuno viene lasciato solo col proprio dolore, e infatti Werther le promise di aiutarla a trovare il suo amato sognatore ovunque egli fosse. Artemisia allora indicò la Luna e rinvigorita dalla speranza spiegò che ogni notte, appena il sonno la portava verso l’isola del sollievo, una voce le suggeriva che il suo amato fosse andato su fin sul satellite d’argento e non sapesse come fare ritorno.
Werther Felicità non pose tempo in mezzo e con l’aiuto degli Angeli equilibristi organizzò il viaggio più lungo che il Circo della Famiglia Felicità avesse mai affrontato in una sola tappa. Il volo fu lento e confortevole, ma la permanenza sulla Luna provocò più di qualche malumore tra gli artisti che, traditi da una differente gravità, non riuscivano a eseguire le loro esibizioni. Ci volle inoltre tutta la prontezza di spirito (santo si direbbe) di un paio di Angeli insonni per recuperare l’uomo con i piedi a molla che si stava per perdere nello spazio siderale. L’intuizione venne a Vera Felicità, quando già Artemisia stava per sprofondare nuovamente in un oceano di tristezza: l’esperienza con le voci dei sogni le suggerì di interpretare il messaggio che era giunto alla giovane arciera. Dal momento che il giovane non si trovava sulla Luna, doveva per forza essere visibile dalla Luna!
Il resto fu così facile e l’esito talmente felice che quasi ci s’imbarazza a raccontarlo: l’uomo Falco individuò sulla terra il giovane sognatore da un disegno che Artemisia aveva tracciato su una roccia lunare con la punta di una delle sue frecce. Era effettivamente prigioniero, ma di un albero che spuntava sulla parete verticale di un orrido nel bel mezzo di una foresta.
Il Circo della Famiglia Felicità tornò subito sulla terra e, liberato il giovane sognatore, decise di non tornare più sulla Luna.
Artemisia sposò il suo amato la successiva notte di luna piena e, dopo mesi di irriferibile felicità, le sovvenne di chiedergli come mai avesse avuto, al tempo del loro primo incontro, quel portamento così svagato: il marito, arrossito e sorridente, le confidò di avere lasciato il suo lontano borgo guidato da una sogno. Nel sogno lui entrava in un circo, guardava verso l’alto e vedeva lei, bella come mai nessuna, e la Luna. Quella sera stessa aveva incontrato sul suo cammino il circo del suo sogno, ed era entrato con la convinzione di vederla nei panni di una trapezista. Poi, una volta uscito, incredulo di non averla veduta, si era perduto nella foresta ed era caduto nel burrone. Disse di non avere provato paura perché sentiva che il suo sogno si sarebbe avverato ugualmente, contro ogni logica, contro ogni ragionevolezza.
Lei sembrò rammaricarsi per tutto il tempo che avevano perduto, lui nell’orrido e lei sulla Luna, almeno finché non sentì che il viaggio compiuto dall’amore dentro di loro era ennanta volte più lungo di quello compiuto per andare sulla Luna. E questo lo pensò mentre il sognatore ancora diceva di non avere provato paura. E sentì che nemmeno lei ne aveva.
Quando lui finì di dire e lei di ascoltare e pensare, entrambi avevano gli occhi lucidi e ridevano uno nelle braccia dell’altra.
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